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IMMEDIATEZZA E MEDIAZIONE IN G.R. BACCHIN

Ritengo doveroso premettere una breve biografia dell’Autore. Giovanni Romano Bacchin è nato a Belluno nel 1929. Si è laureato a Padova in Filosofia nel 1961 con Marino Gentile entrando a far parte della Scuola padovana nota come “metafisica classica” ed ha conseguito la libera docenza nel 1965. Determinanti per lo sviluppo del suo pensiero e della Scuola padovana di filosofia sono i primi cinque libri pubblicati a Roma nel 1963: Su le implicazioni teoretiche della struttura formale; Originarietà e mediazione del discorso metafisico; Su l’autentico nel filosofare; L’originario come implesso esperienza-discorso; il concetto di meditazione e la teoresi del fondamento. Particolarmente amati dall’autore sono: L’immediato e la sua negazione (Perugia 1967); Anypothelton. Saggio di filosofia teoretica (Roma 1975); Teoresi metafisica (Padova 1984). Dal 1966 al 1980 ha insegnato Filosofia della storia e Filosofia della scienza presso l’Università di Perugia e contemporaneamente dal 1971 al 1973 Filosofia della scienza presso l’Università di Lecce; dal 1981 ha insegnato come professore di ruolo Filosofia teoretica presso ‘Università di Padova.

La morte improvvisa, avvenuta a Rimini il 10 gennaio 1995, ha lasciato trai suoi allievi un vuoto incolmabile. Il concetto più ovvio di filosofia da cui Bacchin intende esordire è quello suggerito dal’etimo stesso, quello cioè di ricerca di quella particolare forma di “conoscenza” che dicesi “sapienza”. Pertanto è doveroso tentare di definire il concetto di “sapienza” e, prima ancora, di “conoscenza”. È possibile esprimere questo concetto con i termini del linguaggio comune dicendo che conoscenza è vedere come stanno le cose. Del resto il concetto di conoscenza come “Visione” è chiaramente presente nell’etimo stesso di molti termini della nostra lingua (idea, teoria, specie, speculazione, perspicacia, evidenza ecc.) e lo è indirettamente nell’uso traslato di altri (chiarezza, oscurità, lucidità, illuminazione, riflessione, ecc). Alcuni di questi termini: (idea, teoria) sono di origine greca e si richiamano a quella che fu appunto la concezione classica della conoscenza come “visione”. In tale concezione il conoscere in quanto tale, nello stesso suo grado supremo, è theoria, e dunque adeguazione del conoscente al conosciuto. Da questa condizione di adeguazione e di passività si salva, soltanto, il pensiero divino per la identità che in esso si realizza di conoscente e conosciuto: noesis noeseos cioè pensiero di pensiero per usare l’espressione di Aristotele, riferentesi al Motore immobile. Pertanto l’atto conoscitivo si risolve pur sempre alla fine in un atto di adeguazione o accettazione, che è tale soltanto se accoglie le cose come stanno, senza alterarle o modificarle. Per esempio, osserva Bacchin, può darsi che per scoprire le sorgenti di un fiume un esploratore debba superare una infinità di ostacoli; giunto però alla meta, non gli rimane che arrestarsi e prendere atto della situazione. Questo suo “vedere” può ancora chiamarsi attività, ma si tratta di una attività ben diversa dalla precedente. Infatti, se per caso l’esploratore, esausto per le fatiche compiute, fosse colto dal delirio e gli sembrasse, ad esempio, che il fiume scendesse direttamente dal cielo, questa sua rappresentazione non sarebbe detta nel linguaggio comune “conoscenza” ma “illusione” o “allucinazione”; appunto perché conoscere, in tale linguaggio, significa registrare fedelmente le cose come sono, senza alterarle nella propria immaginazione o crearle con la propria fantasia. Ciò che a Bacchin interessa soprattutto stabilire è se si verifichi effettivamente la situazione che egli ha indicato con l’espressione “vedere come stanno le cose”. Egli osserva in primo luogo come l’atteggiamento conoscitivo, almeno come disposizione del soggetto a vedere e a prender atto delle cose così come esse sono, si verifichi anche in coloro che propongono una diversa definizione del termine “conoscenza”. Se l’idealista, ad esempio, può designare con questo termine l’attività creatrice del soggetto, è perché egli ritiene di aver preso atto, in un modo o nell’altro, dell’esistenza di una simile attività, è perché egli presume di “aver visto come stanno le cose” per ciò che riguarda il nostro pensiero. Tuttavia, il vero torto dell’idealista, secondo Bacchin, non è quello di riservare il termine “conoscenza” a designare l’attività creatrice del pensiero; il suo vero torto è di attribuire al pensiero soltanto questa forma di attività. Se il nostro pensiero creasse sempre ed in ogni caso, non potrebbe neppure “vedere” il proprio creare. Insomma nell’idealismo il pensiero rischia di perdere se stesso per essere stato dotato, come il mitico re Mida, di un tocco troppo miracoloso. In questa difficoltà l’idealista sembra essersi cacciato per aver trascurato la distinzione, presente invece nel linguaggio comune, tra “conoscenza” e “pensiero”. “Pensiero, è in questo linguaggio, termine molto più esteso di quello di “conoscenza”. Certamente il conoscere è un atto del nostro pensiero, ma il nostro pensiero si manifesta anche in altre forme che sono, ad esempio, il dubitare, il domandare, il congetturare, l’interpretare, l’immaginare ecc. In rapporto a questa distinzione può avere un senso affermare che un dato oggetto è prodotto dal nostro pensiero (che qui verrebbe considerato nella forma della immaginazione), ma non ha alcun senso dire che un certo oggetto è il prodotto della nostra conoscenza e che quindi conoscere è creare. Dunque la concezione del conoscere come “vedere” è più o meno coerentemente presente in qualunque dottrina della conoscenza. Orbene, secondo Bacchin, domandare se si realizzi un effettivo “vedere” è in fondo la stessa cosa che domandare se noi conosciamo qualche verità. Così posta, la questione è facilmente risolta. Affermazioni quali “io esisto”, “questo foglio è bianco”, “2+2=4”, assunte nella loro povertà e genericità, e con tutte le necessarie riserve, rappresentano delle verità assolutamente certe, perché assolutamente “evidenti”. Tuttavia molti sono i casi in cui non sappiamo raggiungere la verità, appunto perché non sappiamo raggiungere l’evidenza; se è evidente, ad esempio, che io esisto, non è altrettanto evidente che cosa io sia, sotto ogni riguardo. Il nostro effettivo “vedere” in ogni momento del processo conoscitivo risulta inadeguato rispetto alla nostra esigenza teoretica. Secondo Bacchin, è da questa situazione di inadeguatezza che sorgono i dubbi, i problemi da cui siamo di volta in volta assillati e, conseguentemente, i vari tentativi per giungere alla loro soluzione. Infatti, nessun dubbio, nessun problema potrebbero sorgere se le singole conoscenze parziali non fossero rapportate ad una radicale esigenza di sapere totale nei confronti della quale esse risultano appunto insufficienti. Orbene, a tale esigenza originaria Bacchin dà il nome di domanda totale o trascendentale: “totale” ad indicare l’oggetto di cui essa è domanda, “trascendentale” ad indicare la sua costante presenza in ogni domanda particolare. Per l’appunto è in virtù della domanda trascendentale che le varie prospettive parziali vengono connesse tra loro, così che la nostra conoscenza si configura originariamente e strutturalmente come relazione organica, ovvero come mediazione. Infatti, parlando della conoscenza come “visione” si corre il rischio di lasciare credere che di intenda la conoscenza come qualcosa di immediato, come l’apprendimento puntuale, di volta in volta, di questo o quell’oggetto particolare, al di fuori di ogni loro reciproco rapporto. Niente di tutto ciò. Infatti, neppure sul piano della visione sensoriale si realizza una simile situazione. Ogni oggetto su cui posa il mio sguardo è colto in relazione ad una molteplicità di oggetti che nel loro insieme costituiscono lo sfondo della mia visione. Tale sfondo rappresenta un momento necessario della dialettica dell’atto percettivo, perché è solo in opposizione ad esso che l’oggetto in questione può essere colto con chiarezza e profilarsi nella sua interezza. Dunque la sfera totale della mia percezione visiva è qualcosa di intrinsecamente articolato e, in questo senso, di mediato. Orbene, secondo Bacchin, la distinzione tra immediatezza e mediazione viene introdotta nell’ambito della conoscenza quando si cerca di chiarire la natura del procedimento discorsivo ponendolo in rapporto con il momento originario della conoscenza che dicesi esperienza. Poiché nel discorso si perviene alla fondazione di una determinata tesi mediante il ricorso ad altre tesi, precedentemente note, per la necessità di escludere un regresso all’infinito che renderebbe impossibile ogni radicale fondazione, si è portati ad ammettere l’esistenza di alcune nozioni prime che si manifestano per se stessa, cioè immediatamente. Tali nozioni rappresentano appunto i dati immediati dell’esperienza. Ora, se per dati immediati si intendono delle conoscenze che non sono frutto di un processo di dimostrazione, ma sono al contrario principio e fondamento di questo stesso processo, nulla di più legittimo che r
iconoscere dei dati di questo genere. Ma se per dati immediati si intendono degli elementi isolati, senza alcuna relazione tra loro, nulla di più errato nel senso che puri dati irrelati non produrranno mai, per la loro stessa estraneità, un discorso. Pertanto si parlerà della conoscenza, ad ogni livello, come di una forma di mediazione e si distinguerà una mediazione originaria ed implicita, l’esperienza, da una mediazione derivata ed esplicita, il discorso. Allora il passaggio dall’esperienza al discorso dovrà essere concepito non già come un salto dall’immediatezza alla mediazione, ma come lo sviluppo di una mediazione originaria: in termini di “visione”, come il progressivo chiarirsi di una iniziale “visione globale”. In conclusione, dunque, secondo Bacchin, la “domanda totale” rinvia ad una “visione totale” che può dirsi anch’essa “trascendentale” perché costantemente presente come sfondo oscuro di ogni più chiara visione particolare. Questo rapporto tra le singole visioni particolari e il loro sfondo comune determina il carattere mediato della conoscenza nella sua espressione originaria e nei suoi successivi sviluppi.

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