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Il ciclo della vita nelle cante dei filò della tradizione veneta “
Relatore: prof. Otello Perazzoli
A scuola dal Filò
Tradizione è la trasmissione di racconti, avvenimenti, veri e fantastici, di usi, costumi e sim. fatta da vecchi ai giovani, per generazioni e generazioni, oralmente (trad. orale) poi anche raccolta, a volte, in testi scritti (trad. scritta)” (1).
Da questa definizione risaltano i due elementi fondanti della tradizione: la trasmissione orale ed il passaggio generazionale del sapere collettivo. I luoghi in cui questo passaggio avveniva erano molteplici: la casa, i campi, le risaie, le corti, la stalla ecc .Uno dei più importanti è senz’altro il filò.
Con i “primi fredi”, le famiglie di una contrada o di una corte (…) si riunivano in una stalla ospitale, al caldo degli animali e la gente vegliava alla luce di una lucerna a “petrolio”: era il filò. La stalla diventava, nel cuore dell’inverno, il centro della vita sociale e, spesso, familiare (i bambini spesso mangiavano in stalla), perché le case “le iera frede come bissare”, fredde e umide come le tane dei serpenti e la legna scarseggiava.
Nella stalla gli adulti riparavano gli arnesi di lavoro (…) le donne dovevano lasciare il pensiero dei campi e dedicarsi al rammendo della poca biancheria in uso, alle “uce” e a “fare calzeti, metare a posto le braghe”. Il filò ha, quindi, anche un valore economico perché, nelle lunghe sere d’inverno, si lavora, si fila la canapa o il lino per il ricambio delle lenzuola, o per “farghe la dota a la fiola che se marida”.
(…) Attorno alla lucerna, alimentata a “petrolio” messo assieme dalle famiglie presenti o procurato da una sola famiglia a turni settimanali, si sedevano prima le donne che avevano bisogno di maggior luce, poi le ragazze, i giovani, gli uomini. (…) Per questo stare insieme, il filò assume un significato sociale, perché costituisce l’incontro di tutta la gente di una stessa corte o contrada, e lì avviene lo scambio delle idee e del dialogo: è un setaccio degli avvenimenti presenti o passati, vivi nella memoria o fatti rivivere, per cui il filò diventa anche fonte di comunicazione e di trasmissione della cultura orale.
La “memoria generazionale” trova nel filò la sua cassa di risonanza, diventa autentica scuola dove tutti apprendono, fin da bambini, i modelli di comportamento, il modo di pensare, l’uso della parola, nei suoi vari aspetti, del gruppo sociale cui appartengono.
(…) Il momento magico del filò, che passava dalla povertà quotidiana allo splendore della creazione fantastica, scaturiva dai racconti dei contafole.
(…) Il filò terminava a sera inoltrata, comunque in riferimento al lavoro da fare il giorno dopo, perché “ la sera tuti bo e a la matina tuti vache”.
(…) La “dona de la lucerna” staccava “el lume dal fero”, il gancio cui era appesa, metteva una mano davanti in modo da riparare la luce dalla prima folata di vento che investiva il gruppo all’uscita dalla stalla e si barattava l’ultimo saluto:”Felice note, cristiani e catemose in pié doman”. (2)
La trasmissione delle conoscenza non poteva essere che orale poiché i contadini erano per lo più analfabeti o dotati di elementari nozioni di lettura e scrittura. L’istruzione scolastica era riservata alle classi più ricche, per i contadini la scuola non andava oltre le prime due, tre classi per cui la cultura che si formava era quella della tradizione, che si apprendeva vivendo in comunità.
Un’importanza fondamentale, nella trasmissione dell’oralità, assume la memoria individuale che, stimolata ad apprendere e a ricordare dalla mancanza di scritti, si sviluppa e si rafforza quasi prodigiosamente A differenza dell’opera letteraria che, una volta nata, non cambia più perché funziona alla presenza di due grandezze, l’autore ed il lettore tramite l’anello di mediazione tra di loro che è il libro, il manoscritto, lo spartito;anche il testo orale ha due grandezze che sono però l’esecutore e l’ascoltatore. Il primo, (contafole, cantastorie ecc.) non ripete alla lettera ciò che ha sentito ed imparato ma porta all’interno di ciò che ha sentito le sue convinzioni, operando mutamenti che non si compiono a caso, ma seguono il gusto dell’epoca, gli stati d’animo, i costumi” (3)
Non vi è dubbio che il modo di vivere del contadino sia diverso da quello dei signori: diverso il modo di vestire, di mangiare, di parlare, di pensare; anche la religione è praticata con una ritualità particolare, devozionale più che di fede. Si tratta di una cultura fortemente elaborata, anche se non “sistematica”, complessa, che conserva schegge di civiltà scomparse, di verità mai spente nel cuore dell’uomo: una concezione del mondo distinta, spesso contrapposta, alle concezioni del mondo che comanda.” (4)
Che cosa rimane di tanta tradizione orale, di tanto sconfinato repertorio? (basti pensare che, restando solo nell’ambito delle Cante, Dino Coltro ne ha trascritte circa seicento).Verrebbe proprio da rispondere “ben poco”. Sono venute meno le occasioni nelle quali avveniva questo scambio di cultura. Molti esecutori ed informatori non ci sono più e si è trasformata la quasi totalità dei lavori agricoli collettivi :mietitura, sfalcio e raccolta del fieno, monda e trapianto del riso, vendemmia, taglio della legna, raccolta e sgranatura del mais. che non sono più fatti a mano , accompagnati dal canto che era il compagno della fatica collettiva.Da tempo si sono estinti anche i filò, quando, nelle case, sono entrate la stufa a legna, prima , e la televisione, poi. E’ venuta a mancare, spesso, anche la considerazione verso gli anziani, da sempre considerati i depositari di saggezza e diventati poi un “problema”. Poca è la capacità di ascolto delle nuove generazioni, spesso “connesse” per lo più solo col mondo virtuale dei social network. Anche lo stesso strumento linguistico attraverso il quale avveniva tale comunicazione, il dialetto, è stato messo in soffitta perché considerato mezzo di espressione obsoleto e fuori moda.
Sono usciti di moda anche i proverbi, da sempre considerati “la sapienza dei popoli”, nati dall’esperienza generazionale a dall’attenta riflessione sui fatti e sulle cose che interessano la vita nei vari aspetti. Per secoli hanno avuto una straordinaria funzione didattica e morale ed hanno costituito la regola di comportamento individuale e sociale.
All’oralità appartengono anche i modi di dire, gli indovinelli, le filastrocche e le cante. A proposito della cante penso sia interessante trascrivere ciò che dice Coltro: “Poesia e canto, nella cultura popolare, sono la stessa cosa. Il concetto di poesia, nel mondo contadino e popolare è diverso da quello degli autori colti. (…) Si può dire che alla categoria colta della poesia corrisponde, a livello popolare,la categoria del canto. Tenendo conto della struttura verbale e della loro funzionalità i canti possono essere divisi in:

  • Filastrocche e ninne nanne
  • canto rituale
  • canzoni epico liriche o ballate
  • storie cantate
  • canzoni
  • canti di questua
  • canti del lavoro e politici. ( 5 )

Il programma della serata
Dopo l’esecuzione del brano Il torototela , con il quale , da sempre inizio i miei interventi, sono passato a proporre due ninne nanne. La prima è stata una ninna nanna “classica”, “Dormi mia bella dormi”. Le prime strofe del testo recitano:” Dormi mia bella dormi/ dormi e fai la nanna / che quando sarai mamma / non dormirai così. Dormi mia bella dormi / nel tuo letto di gigli / che quando avrai dei figli / non dormirai così……….” Come osserva Roberto Leydi ( 6 ) “… le ninne nanne non assolvevano solo il compito di quietare e addormentare i bambini, ma anche quello di avviare il processo di inculturazione del nuovo nato: Attraverso la ninna nanna, poi, era offerta alla donna una occasione di sfogo non altrimenti possibile all’interno della società contadina tradizionale.”
La seconda “ninna nanna” che ho proposto, fin dal titolo risulta essere una parodia della prima. Il primo verso recita “dormi mia bela, con to sorela/ mi son qua fora con n’altra più bela”, e la melodia ha ben poco del ritmo suadente e conciliante il sonno della ninna nanna. Mi è stata insegnata da un’anziana come “ l’unica nina nana dei omeni che ghe sia in giro.”.
Sempre dedicato all’infanzia è stato il successivo brano:” la setimana” . Anche questo, come tanti altri dedicati ai bambini, presenta una doppia finalità: insegnare la successione dei giorni della settimana e far apprendere una regola fondamentale della vita contadina secondo la quale ci no laora no magna e, si sa, mangiare bisogna mangiare perchè saco udo non sta in piè e, ancora, se te vol cagàr, te devi laoràr.
Altro canto, sempre con finale a sorpresa, è stato il successivo “se te la vedessi”. Nelle prime strofe compaiono tutti gli elementi che, nell’immaginario maschile, rendono gradevole una donna ( gambe,galoni, tette) mentre nell’ultima strofa, a sorpresa , compare l’elemento che faceva di ogni bella ragazza, una morosa da sposare “ se te la vedessi, con in man la zapa, no l’è mai straca…”
Ho proposto poi altre cante legate a due temi cari alla tradizione popolare: il corteggiamento ed il matrimonio. In un paio di brani era testimoniata una curiosa consuetudine che avevano le ragazze che si recavano al filò: se , tra i presenti, c’era un ragazzo che destasse il loro interesse, glielo facevano capire con l’offerta della sedia, che portavano da casa con tale scopo.
La serata, dopo qualche altra canta, si è conclusa con un canto di cantastorie, specie ormai in via di estinzione e che trova solo pochi tenaci testimoni in Italia ed una associazione, l’A.I.Ca che li rappresenta. Il canto si intitola “La prima notte di matrimonio” ed era il cavallo di battaglia di un vecchio cantastorie della bassa veronese: Bieto Lana.
A questo punto non mi resta che ringraziare con calore ed affetto chi ha proposto il mio untervento, chi mi ha invitato e tutto lo straordinario pubblico che ha partecipato con grande attenzione e passione.
Un grazie, di cuore, a tutti.

  1. A. Gabrielli. Grande dizionario illustrato della lingua italiana Mondadori, 1989
  2. D. Coltro Stalle e piazze Bertani Editore Verona, 1979
  3. D. Coltro L’altra cultura Cierre Edizioni Verona 1989
  4. D. Coltro. Fole lilole. Marsilio Venezia. 1991
  5. D.Coltro L’altra cultura . Cierre edizioni Verona 1989
  6. R. Leydi I canti popolari italiani. A.Mondadori 1973

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