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Intervento integrale del Prof. Mario Palmaro
La prima cosa che ho voglia di ripetere, che mi sembra evidente, è che la capacità di Guareschi di farci ridere è molto attuale, non è da tutti; oltretutto spesso l’umorismo ha “la data di scadenza”, ovvero fa ridere per un determinato periodo poi sempre di meno fino a non divertire più.
Con Guareschi non è così, difatti se leggiamo qualche suo brano ridiamo costantemente anche oggi, specie se partiamo dall’assunto –come lui sosteneva- che la vita è una cosa seria ma vale la pena di scherzarci su. Infatti oggi la gente è triste perché non pensa che la vita sia una cosa seria. Guareschi aveva capito che la vita era una cosa seria attraverso l’esperienza del campo di concentramento; però, si noti che differenza passa tra gli scrittori del Novecento passati attraverso l’esperienza concentrazionaria: molti di essi non fanno che legare le proprie opere unicamente al nazismo e ai campi di concentramento.
Si pensi a Levi e tutti gli altri autori che hanno vissuto tali esperienze. La differenza con Guareschi, sta nel fatto che la cultura diffusa da codesti autori è una cultura della disperazione, ovvero raccontano il senso e il nonsenso di questa drammatica esperienza, ecco perché è una lettura che non produce una catarsi, una sorta di uscita verso la speranza.
Se voi leggete “Diario clandestino” vi accorgerete che è esattamente il contrario. Guareschi cioè passa per queste esperienze “senza odiare nessuno”. Eppure Guareschi si fa due anni di campi di concentramento, torna a casa che trova depredata e distrutta, odiato da tutti poiché ritenuto un fedele al giuramento monarchico.
La seconda osservazione è che Guareschi è un grande scrittore, nonostante sia stato escluso dalle comuni antologie. Prova ne sono, tra gli altri, gli attacchi dei brani “La maestra vecchia” , oppure “In riva al fiume”, o ancora “Notte di giugno”.
Questi brani, peraltro, ci fanno riflettere sul rapporto che Guareschi aveva con la terra, le radici, il suo mondo piccolo che, in quanto tale, sembrerebbe inadatto a essere universale; in realtà è tradotto e letto in tutto il mondo.
Il terzo punto è l’umorismo legato al tema del radicamento. Lo si può vedere nel racconto (pur non conosciutissimo) dal titolo “L’anonimo”, dove si vede quanto Guareschi ami e rispetti questo tema delle radici e diffidi della cultura e dell’intellettualismo quando questi sono contro l’aspetto più autentico e profondo delle nostre radici e tradizioni. In questo senso Guareschi è un pensatore, lo diceva di sé, “reazionario”, non conservatore né progressista, bensì un uomo che vuole reagire al processo rivoluzionario; ovvero il processo di distruzione della tradizione, il processo di mistificazione del nostro passato, il parlarne male.
Secondo Guareschi, la società non deve accettare lo sminuire del proprio passato e delle proprie tradizioni, altrimenti resta solo l’attuale consumo, rimane soltanto il sistema consumistico che sconvolge l’uomo in una rincorsa lunga tutta la sua vita. Guareschi non fu un uomo che avrebbe gradito la costruzione di questo modello culturale, spesso presente nella società di oggi. Lui combatté infatti, con i racconti degli anni ’60, la società che già allora stava prendendo questa direzione.
Guareschi è l’anticomunista che nel ’48 ha un ruolo determinante nella sconfitta del PCI alle elezioni di quell’anno ma è anche l’uomo che non sposa la cultura liberale nella sua dimensione consumistica che si è sviluppata negli anni successivi; si può dire pertanto che fu un uomo disposto a prendersi ‘pallottole’ da tutte le parti. Un uomo che andò in galera tre volte, due volte fisicamente e una terza culturalmente, proprio perché odiato da una parte e dall’altra.
Ed è nel sopracitato “L’anonimo”, con gli esilaranti dialoghi di Don Camillo e Peppone, che Guareschi fa emergere il suo spirito di attaccamento alle radici, alle terre natie.
Volendo infatti scherzare e divertire, Guareschi include nella sua opera più contenuto, più sostanza che non in numerose prediche che ascoltiamo durante l’anno.
Infatti Guareschi parla di dottrina cattolica, di buon senso, c’è il pensiero controcorrente (o politicamente scorretto), c’è come detto molta sostanza: questo è Guareschi.
E’ altresì importante confrontare Guareschi con altri letterati del novecento: ad esempio con Pirandello, scrittore a suo modo metafisico, perché nella sua disperazione in realtà scrive delle pagine di grande apparato soprannaturale; però continua a rimettere in scena la tragedia della vicenda umana come continua commedia, e i suoi personaggi rivestono un ruolo ed un compito, ma gli attori di Pirandello si accorgono che il fondale che dovrebbe dare il senso di realtà si squarcia e rivela di essere appunto un fondale, dietro a cui non vi è nulla. La differenza con Guareschi sta nel fatto che in Guareschi il fondale sì si squarcia, ma dietro ad esso appare il Cristo dell’altare maggiore.
Se si vuole radicalizzare questi due scenari, ci si rende conto che non vi è una terza possibilità, ovvero o il mondo è uno scenario in cui una volta sviscerato lo sfondo non vi è nulla; oppure vi è il crocifisso dell’altare maggiore, vi è quel Cristo che non è un personaggio teorico, è un Cristo che si interessa di tutto e di tutti, si interessa del figlio di Peppone, si interessa della moria delle vacche, si interessa di un problema in famiglia, cioè è un Dio con cui si può parlare e un Dio che ci parla. E’ la grande dimensione consolatoria del piccolo mondo; senza crocifisso quella di Guareschi sarebbe una letteratura come quella di tutti gli altri.
Infine, il tema del senso della vita, viene affrontato in un racconto meno noto, dal titolo “Suor Filomena”, dove si vede quanto Guareschi riesca a cogliere il tema del senso della vita come problema esistenziale, poiché Guareschi è scrittore sì della tradizione, ma capisce molto bene il suo tempo. Non è uno scrittore rivolto all’ottocento ; è uno scrittore che nell’anno tremila –se ci sarà ancora il mondo- promette di essere ancora attualissimo, perché parla delle cose che riguardano il cuore dell’uomo, e il cuore dell’uomo è sempre lo stesso.
In “Suor Filomena”, Peppone ha un grosso problema poiché ha il figlio che ha bisogno di andare al mare ma i comunisti organizzano la colonia che va solo in montagna.
Per poterlo mandare al mare, l’unica soluzione è mandarlo con la colonia di Don Camillo    . Peppone però si preoccupa estremamente poiché teme l’indottrinamento del figlio da parte di Don Camillo. Don Camillo, allora, pur sapendo che la cura marittima è indispensabile per il figlio di Peppone, promette a Peppone che per il ragazzo verrà eccezionalmente istituito una sorta di percorso laico, di modo da non coinvolgerlo in concetti che per Peppone sarebbero incompatibili.
Dopo pochi giorni, Suor Filomena (direttrice della colonia), scrisse una prima lettera a casa di Peppone, in cui vi fu la descrizione della sistemazione del figlio atta ad evitare tutte le forme di preghiera e di istruzione cattolica; addirittura viene fatto sedere a tavola qualche minuto dopo tutti quanti per evitare la preghiera del pre-pasto. L’unico problema fu che il ragazzino si arrabbiò molto perché non gli venne permesso di assistere all’alzabandiera mattutino, e minacciò di avvisare il padre, il sindaco. Suor Filomena chiese lumi su come comportarsi.
Peppone ringraziò e acconsentì alla visione dell’alzabandiera da parte del figlio.
Suor Filomena, a questo punto, scrisse una seconda lettera in cui ringraziò Peppone ma si disse preoccupata per i colpi di testa del ragazzo; difatti inizialmente al venerdì veniva servita al giovane solo carne, ma ora vorrebbe essere trattato come tutti gli altri e mangiare pesce, che peraltro gli piacerebbe molto.
In seguito, una terza lettera in cui vi è un rapporto medico che conferma i miglioramenti di salute del ragazzo; tuttavia spiritualmente dà qualche preoccupazione, poiché egli è estremamente taciturno, e non per timidezza, ma perché molto gentile. Ogni tanto pone domande imbarazzantissime che cerchiamo di eludere; parlando della rotondità terrestre, chiese “e chi regge la terra?” ma evitando di coinvolgere il creatore è molto difficile rispondere. Suor Filomena chiese quale risposta debba dare, se al centro dell’universo vi sia Stalin o il Partito.
Questo racconto fa vedere una cosa grande, che la domanda sul senso della vita e sull’origine della realtà viene dal bambino, e anche oggi la tematica è attuale (vedi crocifisso in classe, laicità nelle scuole).
La risposta cristiana è la risposta all’interrogativo che ogni umano ha dentro di sé, dentro al proprio cuore.

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